Un viaggio tra il tempo, le scelte e il peso dei ricordi
Descrizione: Una lettera scritta al se stesso centenario, tra nostalgia, rimpianti e speranze. Un racconto introspettivo che esplora il significato del tempo e della vita.
Caro me stesso,
Sei arrivato a cent’anni. Il numero si scrive in tre cifre, eppure pesa come un’intera biblioteca di giorni, alcuni rilegati in pelle preziosa, altri in carta ingiallita e fragile. Ti scrivo da qui, dal passato che per te ormai è lontano, ma che per me è l’unico presente che conosco.
Vorrei chiederti: come stai? Non in quel modo cortese e distratto con cui ci si saluta per strada, ma davvero. Come sta il tuo cuore? Ha trovato pace o ancora scalpita dietro le sbarre dell’irrequietezza? Hai perdonato ciò che dovevi perdonare? Ti sei concesso di essere felice o hai lasciato che il rimpianto scavasse cunicoli nella tua anima?
Mi chiedo se cammini ancora lungo le strade della nostra infanzia, se le gambe reggono il peso degli anni o se è la memoria a portarti dove il corpo non arriva più. Hai ancora voglia di scoprire, di meravigliarti, di ridere come facevi da ragazzo, con quella libertà che solo i giovani possiedono? O forse la vita ti ha insegnato che anche l’attesa può essere un viaggio?
Vorrei sapere se i sogni che porto con me hanno trovato casa nel tuo mondo. Sei diventato lo scrittore che speravo, l’uomo che volevo essere? Hai lasciato traccia di te, non per il desiderio di fama, ma per la sete di significato? Spero che sì, anche se so bene che il tempo ha le sue logiche e a volte i nostri progetti si piegano sotto il vento delle circostanze.
Ti scrivo perché ho bisogno di una risposta. No, non un semplice resoconto di ciò che è stato, ma una guida per chi sono ora. Dimmi: quali errori meritano di essere commessi? Quali amori devono essere inseguiti fino all’ultima goccia di follia? Quali battaglie vanno combattute senza paura, e quali, invece, sarebbe meglio lasciar scivolare via, come foglie portate dalla corrente?
So che non potrai rispondermi. Il tempo è un treno a senso unico, e questa lettera è un messaggio in una bottiglia che non saprà mai dove approderà. Ma forse, nel rileggere queste parole, nel riflettere su di esse, troverò già qualche risposta. Forse, alla fine, la domanda più importante non è cosa ne sarà di me a cent’anni, ma cosa posso fare oggi perché quel vecchio che sarò possa guardarsi allo specchio e sorridere.
Spero che, ovunque tu sia, tu abbia imparato a trovare bellezza anche nelle rughe, nei giorni lenti, nelle storie già raccontate mille volte. Spero che tu abbia ancora voglia di svegliarti al mattino e sentire l’aria sulla pelle, di ascoltare una canzone e chiudere gli occhi, di tendere la mano a qualcuno, anche solo per il piacere di farlo.
E se proprio nulla di tutto questo è possibile, allora spero che tu abbia imparato a dire addio con dolcezza, come si spegne una candela, lasciando dietro di sé una scia di luce nel buio.
Con affetto, con nostalgia, con speranza.
Il te stesso di cento anni fa.
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