I social media riducono la concentrazione dei bambini? Un nuovo studio svedese conferma il legame tra Instagram, TikTok e sintomi di disattenzione. Scopri perché la TV è innocente e come proteggere la mente dei più giovani.I social media riducono la concentrazione dei bambini? Un nuovo studio svedese conferma il legame tra Instagram, TikTok e sintomi di disattenzione. Scopri perché la TV è innocente e come proteggere la mente dei più giovani.

Uno studio del Karolinska Institutet svela una verità scomoda. Non sono i videogiochi e nemmeno la vecchia televisione a minare la concentrazione dei più giovani, bensì il flusso incessante dei social media. Un ritorno al passato sembra l’unica via per salvare il futuro cognitivo dei nostri figli.

Quando il feed non finisce mai: C’era una volta la noia (quella buona)

C’è stato un tempo in cui il massimo della distrazione era la TV accesa in salotto, i cartoni del pomeriggio, il telecomando conteso. Oggi il vero telecomando è in tasca, è lo smartphone, e scrolla direttamente dentro la mente dei più giovani. Vi ricordate i pomeriggi di trent’anni fa? Quei lunghi, interminabili pomeriggi in cui il tempo sembrava essersi sciolto come un gelato al sole. Ci si sedeva sul tappeto, si guardava il soffitto, si giocava con un legnetto trovato in giardino o, nel peggiore dei casi, si fissava il monoscopio della televisione in attesa dei cartoni animati. Eravamo maestri nell’arte di aspettare; eravamo cavalieri della noia. E in quel vuoto, in quel silenzio non ancora colonizzato dai “ding” e dai “bip”, la nostra mente imparava a costruire castelli, a tessere pensieri lunghi, a concentrarsi su un singolo, piccolo dettaglio per ore.

Una nuova ricerca del Karolinska Institutet, pubblicata su Pediatrics Open Science, ha seguito 8.324 bambini statunitensi dai 9 ai 14 anni e ha osservato che chi trascorre più tempo sui social media sviluppa nel tempo un aumento dei sintomi di disattenzione. Non è un’allarmata opinione da bar, è il risultato di un grande studio longitudinale, con anni di osservazione e migliaia di dati raccolti. news.ki.se+1

E la prima sorpresa è questa: l’effetto riguarda i social, non la TV, non i videogiochi.

Oggi, quel silenzio è stato venduto al miglior offerente.

Dentro lo studio, numeri che parlano

I ricercatori svedesi e statunitensi hanno chiesto ai bambini quanto tempo passassero ogni giorno su tre tipi di media digitali:

I genitori, nello stesso tempo, hanno compilato questionari standardizzati sui sintomi di disattenzione e di iperattività o impulsività, tipici del quadro ADHD.

Nel giro di quattro anni il tempo medio sui social è salito da circa 30 minuti al giorno a 9 anni a 2 ore e mezza a 13 anni. Questo nonostante molte piattaforme fissino a 13 anni l’età minima per iscriversi. Free Press Journal+1

Il risultato chiave è netto:

  • più tempo sui social media, più probabile un graduale peggioramento della capacità di concentrazione;
  • nessuna associazione significativa con tempo passato davanti alla TV o ai videogiochi;
  • nessun aumento di comportamenti iperattivi o impulsivi, solo della disattenzione;
  • il legame resta anche quando si tengono conto fattori come status socioeconomico e predisposizione genetica all’ADHD. news.ki.se+1

In altre parole, non sono solo le condizioni di partenza dei bambini a spiegare questo effetto. E il flusso sembra andare in una direzione precisa: dall’aumento di uso dei social verso l’aumento dei sintomi di disattenzione, non il contrario. news.ki.se

Perché proprio i social e non la TV

La domanda sorge spontanea: che cosa hanno i social di così diverso rispetto a TV e videogiochi.

Il professor Torkel Klingberg, neuroscienziato cognitivo al Karolinska, sottolinea un punto semplice ma potente. Le piattaforme social sono costruite come una macchina di distrazione permanente: notifiche, messaggi, like, contenuti brevi che si susseguono, la sensazione costante che ci sia qualcosa di nuovo da vedere proprio adesso. news.ki.se+1

Non serve nemmeno che arrivi davvero una notifica, basta l’aspettativa. Il pensiero “avrò ricevuto un messaggio” è già una distrazione mentale, un piccolo uncino che si pianta nella nostra attenzione, la tira via dal compito che stiamo cercando di svolgere. Per un adulto è impegnativo, per un cervello in crescita può diventare un allenamento quotidiano alla frammentazione.

Altri studi avevano già suggerito un legame tra uso intensivo di media digitali e aumento dei sintomi di ADHD negli adolescenti. Uno studio pubblicato su JAMA nel 2018 ha mostrato che i ragazzi che usavano frequentemente molte forme di media digitali avevano maggiori probabilità di sviluppare sintomi di ADHD nei due anni successivi. JAMA Network Ricerche più recenti indicano che il rapporto tra media digitali e sintomi di ADHD è bidirezionale: i bambini più inclini alla disattenzione tendono a usare di più i media, e l’uso intenso a sua volta può peggiorare i sintomi. PubMed+1

Il nuovo lavoro del Karolinska aggiunge un tassello importante: tra i diversi tipi di schermo, i social spiccano come fattore più strettamente associato al calo dell’attenzione.

ADHD, diagnosi in crescita e ruolo dell’ambiente

Negli ultimi anni le diagnosi di ADHD sono aumentate in molti Paesi. In Svezia, ad esempio, uno studio ha stimato una prevalenza del 7,7 per cento tra i 10 e i 17 anni, con valori più alti nei maschi. Wiley Online Library

L’ADHD ha una forte componente genetica, tuttavia l’ambiente conta. Sonno scarso, stress, scarsa attività fisica, uso intenso di media digitali sono tutti fattori che possono influire sui livelli di attenzione. Nature+1

Importante chiarire un punto: lo studio non dice che i social “causino” l’ADHD classico in ogni bambino, né che chiunque stia più di 30 minuti al giorno online sia destinato a una diagnosi. Parla di un aumento medio dei sintomi di disattenzione nella popolazione, un effetto modesto sul singolo, ma significativo se considerato su milioni di ragazzi.

È un po’ come l’aria che respiriamo. Una piccola variazione nella qualità può non farsi sentire subito nel singolo individuo, ma cambiare la salute di un’intera città nel lungo periodo.

Cosa significa per i genitori, oltre il panico morale

Qui entra in gioco la parte più delicata. Perché di fronte a risultati del genere il rischio è scivolare nel catastrofismo: “via tutti gli schermi”, “social vietati a vita”, “i bambini di oggi non sanno più concentrarsi”.

La ricerca ci suggerisce invece una strada più sobria.
Alcuni spunti concreti:

  1. Guardare al tempo, ma anche al come
    Lo studio suggerisce che oltre i 30 minuti al giorno il rischio di calo dell’attenzione aumenta nel tempo, man mano che il bambino cresce. Free Press Journal+1 Non serve trasformare i 30 minuti in un nuovo totem, ma può essere un riferimento per ragionare su soglie più prudenti, soprattutto nella preadolescenza.
  2. Distinguere i social dagli altri schermi
    In questa ricerca, TV e videogiochi non mostrano la stessa associazione con la disattenzione. Questo non significa che siano innocui in assoluto, ma che non tutto lo schermo è uguale. Un film visto insieme in famiglia non ha lo stesso impatto di un’ora di scroll solitario su TikTok. news.ki.se+1
  3. Creare rituali di “disconnessione di qualità”
    Stabilire momenti e spazi senza social:
    • a tavola;
    • prima di dormire;
    • durante i compiti;
    • nelle attività sportive e creative.
      L’assenza di schermo non è una punizione, ma un tempo protetto per fare altro: chiacchierare, annoiarsi, leggere, muoversi, guardarsi in faccia.
  4. Disattivare le notifiche non necessarie
    Ridurre la pioggia di notifiche è uno dei modi più semplici per difendere l’attenzione. È come chiudere una finestra che sbatte al vento, così il bambino può concentrarsi meglio sul libro, sul gioco, sulla musica.
  5. Dare il buon esempio, anche quando è scomodo
    Difficile chiedere a un undicenne di posare il telefono se il genitore scrolla Instagram a tavola. L’educazione digitale è un gioco di specchi, e il primo specchio siamo noi adulti.

Un tema anche per scuola e politica

I ricercatori sottolineano che non tutti i bambini che usano i social svilupperanno problemi di attenzione. Tuttavia, l’aumento medio dei sintomi solleva interrogativi sull’età minima di accesso e sulla progettazione delle piattaforme: algoritmi che premiano la permanenza, feed infiniti, sistemi di notifica che fanno leva sulla ricompensa immediata. news.ki.se+1

Se la soglia dei 13 anni viene di fatto aggirata, come mostra il tempo di uso già a 9 anni, allora non basta un numero scritto nei termini di servizio. Servono strumenti tecnici migliori, controlli più efficaci, ma anche una cultura condivisa tra famiglie e scuole.

Programmi di educazione ai media, lezioni di “igiene digitale” al pari dell’educazione alimentare, spazi di confronto tra insegnanti, pediatri e genitori possono trasformare questi risultati scientifici in pratica quotidiana.

Una conclusione senza demonizzare, ma con gli occhi aperti

I social media non sono il male assoluto, come non lo era la TV in bianco e nero. Possono essere luogo di creatività, amicizie, scoperta. Ma chiedono un prezzo in attenzione, soprattutto quando arrivano troppo presto, troppo a lungo, troppo senza guida.

Lo studio “Media digitali, genetica e rischio di sintomi di ADHD nei bambini: uno studio longitudinale”, pubblicato su Pediatrics Open Science con DOI 10.1542/pedsos.2025-000922, ci offre una bussola preziosa. Non l’ennesimo allarme generico, ma una mappa basata su dati, che ci invita a ripensare le abitudini digitali dei nostri figli, e anche le nostre.

In fondo si tratta di questo: restituire ai bambini il diritto di annoiarsi, di concentrarsi, di perdersi in un libro, in un disegno, in un campo da gioco, senza che un’icona lampeggiante reclami ogni trenta secondi un pezzetto della loro attenzione.

L’innovazione corre, la biologia umana no. Tocca a noi, come adulti, costruire un ponte sensato tra le due rive.

FAQ – Domande Frequenti

I videogiochi causano l’ADHD nei bambini? Secondo lo studio del Karolinska Institutet pubblicato su Pediatrics Open Science, no. Non è stata riscontrata alcuna associazione significativa tra l’uso di videogiochi e lo sviluppo di sintomi di disattenzione o ADHD, a differenza dell’uso dei social media.

A che età i bambini dovrebbero iniziare a usare i social media? Sebbene molte piattaforme fissino il limite a 13 anni, lo studio evidenzia che l’uso precoce e intenso è legato a problemi di concentrazione. Gli esperti suggeriscono di ritardare l’accesso il più possibile e di monitorare rigorosamente il tempo di utilizzo.

Perché i social media riducono la concentrazione? Il meccanismo principale risiede nelle notifiche costanti e nella natura frammentata dei contenuti. L’anticipazione sociale (aspettare un like o un messaggio) crea uno stato di allerta permanente che impedisce al cervello di focalizzarsi su compiti profondi.

L’aumento di diagnosi ADHD è colpa di TikTok e Instagram? In parte potrebbe esserlo. I ricercatori suggeriscono che l’aumento dell’uso dei social media a livello di popolazione contribuisce all’incremento dei sintomi di disattenzione osservati negli ultimi anni, pur non influenzando l’iperattività fisica.

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Di Roberto Lambertini

Roberto Lambertini è nato a Bologna il 4 settembre 1961. Fin da giovane è stato appassionato di lettura, libri e informazione.

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