Illustrazione in stile realistico ma leggermente artistico: una sezione del torace umano vista in trasparenza; in primo piano il pancreas dorato e, accanto, piccoli linfonodi illuminati da una luce blu. Alcune cellule immunitarie stilizzate, evidenziate in rosso, vengono “messe a fuoco” da una lente d’ingrandimento digitale che ricorda l’interfaccia di un software di intelligenza artificiale, con piccoli grafici e codici. Sullo sfondo, una sfumatura morbida dal blu notte al turchese, che richiama l’idea di ricerca e futuro.Illustrazione in stile realistico ma leggermente artistico: una sezione del torace umano vista in trasparenza; in primo piano il pancreas dorato e, accanto, piccoli linfonodi illuminati da una luce blu. Alcune cellule immunitarie stilizzate, evidenziate in rosso, vengono “messe a fuoco” da una lente d’ingrandimento digitale che ricorda l’interfaccia di un software di intelligenza artificiale, con piccoli grafici e codici. Sullo sfondo, una sfumatura morbida dal blu notte al turchese, che richiama l’idea di ricerca e futuro.

Nei linfonodi del pancreas e nella milza spuntano le “cellule sentinella” che annunciano il diabete di tipo 1 molto prima dei sintomi; l’obiettivo è un semplice esame del sangue, guidato dall’intelligenza artificiale, per proteggere soprattutto i bambini a rischio.

Un attacco silenzioso, finalmente visto in diretta

Il diabete di tipo 1 non arriva mai all’improvviso, anche se spesso sembra esplodere in una notte. Per anni il sistema immunitario prepara l’assalto alle cellule beta del pancreas, quelle che producono insulina, fino a distruggerne la maggior parte. Quando compaiono i sintomi classici, sete intensa, urina frequente, calo di peso, nella maggior parte dei casi il danno è già fatto.

Un gruppo di ricercatori della Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania ha però fotografato l’attacco nel momento in cui sta avvenendo, dentro i linfonodi del pancreas e nella milza. Non solo le “macerie” dopo, ma le cellule immunitarie colte sul luogo del delitto. Lo studio, pubblicato su Science Immunology, apre la prospettiva che il diabete di tipo 1 possa essere individuato e forse rallentato molto prima della diagnosi clinica. (newswise.com)


Linfonodi pancreatici, dove nasce il fraintendimento del sistema immunitario

I ricercatori hanno analizzato quasi un milione di cellule immunitarie, una per volta, provenienti da linfonodi pancreatici e milza di 43 donatori di organi: persone con diabete di tipo 1 già attivo, individui con segni precoci di autoimmunità e donatori sani. (newswise.com)

Nel tessuto linfonodale che drena il pancreas hanno identificato un sottogruppo particolare di cellule T CD4, le cosiddette “helper”, che nei soggetti con diabete di tipo 1 si comportano in modo diverso:

  • aumentano l’attività di due proteine, NFKB1 e BACH2
  • queste proteine funzionano come “interruttori maestri”, accendono e spengono geni che alimentano l’attacco contro le cellule beta

In parole semplici, è come se in quei linfonodi il sistema immunitario venisse rieducato a considerare le cellule produttrici di insulina come nemici. Ancora più interessante, lo stesso pattern di cellule “accese” è stato osservato anche in persone che non avevano ancora sviluppato il diabete, ma mostravano segnali precoci di rischio autoimmunitario. (newswise.com)

Significa che il cortocircuito inizia quando molte cellule beta sono ancora vive. Se si riuscisse a intervenire in questa fase, si potrebbe preservare una quota significativa di produzione di insulina.


La milza manda segnali nel sangue

La seconda scoperta chiave arriva dalla milza, un altro organo cardine del sistema immunitario. Qui alcuni tipi di linfociti B mostrano firme molecolari specifiche del diabete di tipo 1. Parte di questi segnali risulta riconoscibile anche nel sangue periferico. (newswise.com)

Tradotto in pratica, si apre la strada a un possibile esame del sangue in grado di:

  • individuare chi è ad alto rischio di sviluppare il diabete di tipo 1
  • farlo anni prima della comparsa di glicemie alte
  • monitorare in modo non invasivo i bambini e i familiari delle persone con T1D

Già oggi sappiamo che fino al 40 per cento circa dei bambini riceve la diagnosi di diabete di tipo 1 mentre è in chetoacidosi, una grave emergenza metabolica che può richiedere la terapia intensiva. (dynamed.com) Un test del genere potrebbe cambiare completamente la storia clinica, trasformando una “bomba a orologeria” in una malattia seguita fin dall’esordio, quando il patrimonio di cellule beta è ancora salvabile.


Il dono degli organi che genera conoscenza

Questo lavoro non sarebbe stato possibile senza un elemento spesso dimenticato: la donazione di organi e tessuti. Il team ha studiato non solo i 43 donatori di questo studio, ma in totale campioni pancreatici e linfonodali provenienti da oltre 200 donatori, costruendo una banca dati pubblica, PANC-DB, condivisa con centri di ricerca come Vanderbilt University, University of Florida e Stanford. (newswise.com)

Ogni campione è una storia, una famiglia, un consenso dato in un momento difficile. E ogni dataset rende possibile a ricercatori di tutto il mondo esplorare nuovi bersagli terapeutici, senza dover ricominciare da zero. È un esempio potente di scienza collaborativa, in cui chirurghi, laboratoristi, data scientist e famiglie dei donatori remano nella stessa direzione.


L’intelligenza artificiale impara la “lingua molecolare” del diabete di tipo 1

Tutta questa massa di dati, trascrittomica e cromatina cellulare, non si può leggere a occhio nudo. Entra in scena l’intelligenza artificiale. Nell’ambito dell’Human Pancreas Analysis Program (HPAP), finanziato dal National Institutes of Health dal 2016, i ricercatori stanno addestrando modelli di AI a riconoscere il “dialetto molecolare” delle cellule patogene nei linfonodi pancreatici. (newswise.com)

L’obiettivo dichiarato è ambizioso:

  • insegnare all’AI a individuare le tracce di queste cellule anche nel sangue
  • distinguere tra un sistema immunitario in equilibrio e uno che sta preparando l’autoimmunità
  • supportare clinici e ricercatori nello sviluppo di terapie mirate che bloccano le vie di segnalazione che alimentano le cellule T “deviate”

Se ci riusciamo, l’esame del sangue di un bambino con familiarità per il diabete di tipo 1 potrebbe un giorno essere letto da un algoritmo addestrato su migliaia di profili cellulari, capace di dire: “Attenzione, qui qualcosa si sta muovendo, ma sei ancora in tempo per intervenire”.


Che cosa significa per famiglie, medici e sistemi sanitari

Per le famiglie con un figlio con diabete di tipo 1, o per chi ha più casi nella stessa generazione, l’idea di un test precoce mette insieme speranza e timore. Da un lato, la possibilità di evitare una diagnosi in pronto soccorso, magari in chetoacidosi. Dall’altro, la domanda: che cosa possiamo fare se sappiamo prima?

La ricerca va nella stessa direzione delle strategie di screening che stanno emergendo in Europa, in Australia e negli Stati Uniti, basate sulla ricerca di autoanticorpi contro le cellule beta e su terapie immunomodulanti che mirano a rallentare il decorso della malattia, purché iniziate in fase precoce. (The Australian)

Le nuove “orme” immunitarie nei linfonodi pancreatici e nella milza aggiungono un tassello in più: permettono di passare dal semplice “sei a rischio” a un quadro molto più preciso di quali cellule stanno cambiando e come stanno comunicando tra loro. È un salto di qualità che interessa non solo chi vive con il diabete, ma anche i sistemi sanitari che devono programmare risorse, campagne di prevenzione, percorsi di presa in carico.


Una rivoluzione silenziosa, ma non più invisibile

Per anni il diabete di tipo 1 è stato raccontato come un destino che “capita” e basta. Oggi la storia si fa più complessa, ma anche più umana. Vediamo gli errori del sistema immunitario mentre si formano, possiamo immaginare di correggerli prima che diventino irreversibili.

Non siamo ancora al punto di una semplice analisi di routine in ambulatorio, ma il percorso è tracciato. Il futuro potrebbe essere fatto di bambini che arrivano alla diagnosi con ancora una buona quota di produzione di insulina, di adulti a rischio che vengono seguiti e sostenuti molto prima del “crollo glicemico”, di medici affiancati da strumenti di intelligenza artificiale che leggono le sfumature dei dati meglio di quanto possiamo fare noi.

Nel frattempo, sapere che le cellule “colpevoli” sono state finalmente beccate sul fatto è già un cambio di paradigma. L’invisibile non è più un buio totale, ma una stanza che cominciamo a illuminare, interruttore dopo interruttore.

Hashtag per i social

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Di Roberto Lambertini

Roberto Lambertini è nato a Bologna il 4 settembre 1961. Fin da giovane è stato appassionato di lettura, libri e informazione.

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