Attenti a quei 2Attenti a quei 2

Tra dazi e dominio, si profila un disegno imperiale che, a 80 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, riaccende i fantasmi della storia. MAGA e il nuovo ordine mondiale secondo i suoi promotori.

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Riassunto: Il progetto MAGA di Donald Trump si trasforma in un piano di espansione globale che coinvolge Canada, Groenlandia, Islanda e il Golfo del Messico. In tandem con Putin, si profila un ritorno all’imperialismo, in uno scenario che rievoca i fantasmi del Novecento.


C’è un eco sinistro che percorre la storia, un’onda lunga che, da ottant’anni, attende il momento di risalire in superficie. Eccola, ora, affiorare nel XXI secolo con l’impeto di un passato che non ha mai smesso davvero di respirare. Si chiama MAGA – acronimo di “Make America Great Again” – ma nel tempo si è trasformata da slogan elettorale a manifesto di un’ambizione più oscura, nostalgica, imperiale.

Donald J. Trump, ex presidente e potenziale futuro comandante in capo degli Stati Uniti, ha tracciato un disegno geopolitico che non si limita più ai confini della retorica nazionalista. MAGA oggi è un progetto di riconquista – non solo simbolica – di un mondo che fu, o che si desidera riportare sotto l’egida di una supremazia americana che odora di guerra fredda, ma con toni da guerra calda.

La mappa della nuova ambizione parte da Nord. Il Canada, visto da certi ambienti trumpiani, è troppo vasto per essere solo canadese. La Groenlandia, oggetto di un tentativo di acquisto da parte degli USA nel 2019, è tornata nelle mire americane come piattaforma strategica artica. L’Islanda, perla dell’Atlantico settentrionale, chiude il cerchio settentrionale di questo puzzle geopolitico.

Ma non finisce qui. Il Golfo del Messico, ribattezzato con sorprendente arroganza “Golfo d’America”, è al centro di un progetto di espansione economico-militare che guarda con occhi famelici a Cuba, Panama e ai paesi del Centro America. Un sogno di annessione travestito da piano per la sicurezza regionale, condito di dazi, esercitazioni militari e retorica della difesa nazionale.

E poi c’è lui, l’alleato inatteso ma sempre presente quando il potere chiama: Vladimir Putin. L’orso russo, che ha fatto dell’Ucraina un banco di prova per la rinascita dell’impero zarista, è pronto a volgere lo sguardo verso un’Europa frammentata, stanca, divisa tra burocrazia e paure interne. L’intesa tra Trump e Putin non è solo un’ipotesi: è un abbraccio tra due visioni del mondo in cui le regole servono solo a chi non ha la forza di cambiarle.

Questa convergenza tra due potenze apparentemente opposte – una capitalista e l’altra autocratica – si salda su un denominatore comune: la nostalgia. Nostalgia per un mondo bipolare, per i muri che dividevano, per i confini netti e per la certezza brutale della forza. Un mondo in cui le superpotenze non chiedevano permesso, ma prendevano. Con la diplomazia delle portaerei.

Ci si potrebbe chiedere: e la comunità internazionale? L’ONU? La NATO? L’UE? Tutte istituzioni che, nel nuovo dizionario del potere, vengono viste come ostacoli burocratici più che come strumenti di pace. Mentre l’Europa tenta faticosamente di ricostruire un’identità post-Brexit e post-Covid, il rischio è che si trovi a essere campo di gioco, piuttosto che giocatrice. E l’Italia? Il nostro Paese si barcamena tra fedeltà atlantica, fascinazione per il carisma autoritario e una crisi d’identità politica che apre le porte a ogni vento.

Trump e Putin non sono più giovani. Entrambi hanno superato l’età in cui gli statisti dovrebbero dedicarsi alle memorie. Eppure sembrano mossi da un’energia feroce, alimentata dall’ego e da un senso di missione storica che travalica la democrazia. Perché MAGA, in fondo, non è altro che una visione del mondo in cui il passato – quello muscolare e muscolato – è la risposta a un presente incerto.

Ciò che inquieta non è solo il progetto in sé, ma il silenzio che lo circonda. I segnali ci sono, evidenti: esercitazioni militari al confine con il Messico, investimenti strategici in Groenlandia, pressioni politiche su Panama. E mentre il mondo è distratto da TikTok, intelligenza artificiale e polemiche da talk show, i nuovi imperatori intessono alleanze, preparano strategie, riscrivono la mappa.

A ottant’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, la lezione sembra dimenticata. L’idea che la pace si costruisca sulla cooperazione è messa in discussione da chi, invece, predica la supremazia della forza. Il dopoguerra, che tanto aveva faticato per contenere gli eccessi del potere, sta lasciando spazio a un dopodomani inquietante.

Non si tratta solo di politica estera. MAGA è un modo di pensare il mondo: noi contro loro, dominio contro negoziazione, potere contro diritto. È un ritorno al tribalismo globale, in cui chi ha le armi detta legge, e chi ha i valori viene considerato debole.

Serve memoria. Serve vigilanza. Serve una nuova consapevolezza collettiva. Perché se oggi ci limitiamo a osservare con distrazione, domani potremmo svegliarci in un mondo in cui la parola “pace” sarà considerata un lusso da sognatori.


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Di Roberto Lambertini

Roberto Lambertini è nato a Bologna il 4 settembre 1961. Fin da giovane è stato appassionato di lettura, libri e informazione.

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