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Una nuova terapia con cellule staminali potrebbe rivoluzionare la cura del diabete. Ma è davvero la svolta che stavamo aspettando?

Nel mondo del diabete, dove ogni microgrammo d’insulina conta come oro liquido, una notizia fa tremare le lancette della speranzauna piccola sperimentazione clinica ha permesso a dieci persone su dodici di sospendere del tutto le iniezioni quotidiane di insulina. Non stiamo parlando di miracoli, ma di cellule staminali e fegato. Sì, proprio lui, il nostro filtro interno, che oltre a smaltire aperitivi e rimorsi, ora potrebbe anche produrre insulina.

La ricerca, pubblicata di recente, ha coinvolto persone affette da diabete di tipo 1 grave, trattate con una terapia chiamata XV-880. Un nome che sembra uscito da un film di fantascienza — e in effetti qualcosa di fantascientifico c’è: i ricercatori sono riusciti a coltivare in laboratorio isole pancreatiche, le piccole fabbriche di insulina, e a trapiantarle nel fegato. A distanza di un anno, l’83% dei partecipanti ha detto addio alle punture quotidiane. E a dirla tutta, anche alle ipoglicemie gravi.

Questo nuovo studio non è il primo. Nel 2024 , una donna di 25 anni con diabete di tipo 1 ha ricevuto un trapianto di isole pancreatiche derivate da cellule staminali, che ha anche permesso di liberarsi dalle iniezioni di insulina.

Anche un uomo di 59 anni affetto da diabete di tipo 2 scarsamente controllato è stato curato con un altro tipo di trapianto di cellule staminali.

Entrambi i trattamenti richiedono un’immunosoppressione permanente. Questo è indesiderabile per molte persone e potrebbe limitarne l’assunzione.

Ma come funziona?

La logica è semplice, almeno sulla carta: si coltivano cellule capaci di produrre insulina (derivate da cellule staminali), le si infonde nel fegato attraverso una vena, e si spera che si comportino come le loro sorelle naturali nel pancreas. Il motivo per cui il fegato è stato scelto come nuova “casa” non è casuale: l’insulina agisce principalmente lì, bloccando la produzione eccessiva di glucosio.

Nel giro di tre mesi, i risultati sono già visibili: glicemia più stabile, nessun episodio di ipoglicemia grave, miglioramento nei marcatori di produzione insulinica. E tutto questo — udite udite — senza bisogno di ricaricare il dispositivo o cambiare sensori. Semplicemente: funziona.

Gli effetti collaterali? Altroché passeggiata

C’è però un prezzo da pagare. Non in euro (ancora), ma in salute. Chi riceve il trattamento deve assumere per tutta la vita farmaci immunosoppressori. Questi servono a impedire che il sistema immunitario attacchi le nuove cellule, ma espongono il paziente a un maggior rischio di infezioni, tumori e altri effetti collaterali tutt’altro che trascurabili: mal di testa, nausea, diarrea e un certo senso di “eh, ma allora non è proprio la panacea”.

Due partecipanti allo studio sono deceduti, ma secondo i ricercatori le cause non erano legate alla terapia. Tuttavia, non è un dettaglio che si può scrollare via come una briciola sulla camicia.

Meglio di altri trattamenti?

Rispetto ai tradizionali trapianti di isole pancreatiche da donatori deceduti, il vantaggio è notevole: niente attese, niente liste, niente corse contro il tempo. Le cellule sono coltivate in laboratorio, disponibili su richiesta, come un insulin-take-away personalizzato. Inoltre, il controllo sulla qualitĂ  è maggiore.

Ma attenzione: il trattamento richiede ancora immunosoppressione, quindi è una cura piĂą “umana” che “universale”. Una soluzione promettente per pochi selezionati, non ancora per le masse.

E c’è un altro punto da considerare: i costi. A oggi, non si sa quanto possa venire a costare un trattamento del genere. Ma una cosa è certa: se la sanità pubblica non interviene, questa rivoluzione rischia di essere appannaggio di pochi.

E il futuro?

Si lavora giĂ  a versioni della terapia che non richiedano immunosoppressione, come XV-264, ma la prima prova è stata deludente. E così si torna in laboratorio, con il camice bianco e la pazienza di Giobbe, cercando dispositivi che permettano all’insulina di uscire ma tengano le cellule immunitarie fuori. Una specie di Airbnb protetto per isole pancreatiche, diciamo.

L’azienda che ha sviluppato XV-880 seguirà i partecipanti per dieci anni. Non sappiamo se le cellule trapiantate dureranno quanto una pianta grassa o quanto un amore estivo. Ma sappiamo che per la prima volta in decenni, la parola “guarigione” si può pronunciare senza arrossire.

In conclusione

No, il diabete non è ancora sconfitto. Ma è stato ferito — e in profonditĂ . XV-880 non è la cura definitiva, ma un primo passo verso qualcosa che non odora piĂą di speranza vana, ma di possibilitĂ  concreta. E per milioni di persone nel mondo, questa è giĂ  una piccola, gigantesca rivoluzione.


P:S. Se volete saperne di piĂą domenica 29 giugno 2025 alle 18.30 su Facebook Fondazione Italiana Diabete organizza sul tema della ricerca un evento in live streaming qui il link.


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Di Roberto Lambertini

Roberto Lambertini è nato a Bologna il 4 settembre 1961. Fin da giovane è stato appassionato di lettura, libri e informazione.

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